“Beh, insomma, io credo che l’aborto…”
La battuta iniziale dell’ultimo spettacolo di Louis CK – 2017 – prova, se ancora ce ne fosse il bisogno, che questo incredibile comico americano ama mettere il suo pubblico a disagio.
Se fate una breve ricerca su internet e cercate di riassumere i giudizi critici espressi sulle sue performance, gli argomenti scelti per gli spettacoli e, soprattutto, i suoi ragionamenti tutt’altro che lineari, che portano dalla premessa alla punch line con salti contorti fra tematiche in apparenza slegate fra loro, non vi sarà difficile trovare termini come dark, volgare, diretto, autoironico, estremo, politicamente scorretto, onesto.
La sua forza sta nell’aura di verità che lo circonda: ogni spettacolo svelta una parte della sua vita, ogni battuta è rivolta principalmente verso se stesso.
In fondo, è un loser che ce l’ha fatta.
Louis CK nasce a Washington DC e trascorre i primi sette anni di vita a Città del Messico: lo spagnolo è la sua prima lingua, ma l’accento di Boston (“Una città intera in cui la gente pronuncia male le parole”) entra presto a far parte del suo modo di esprimersi.
Si avvicina giovanissimo alla comicità: i suoi modelli, come per tantissimi altri coetanei, sono Bill Cosby, Richard Pryor, Lenny Bruce, Steve Martin e, soprattutto, George Carlin. Da loro, dalle loro imitazioni, inizia il suo percorso come performer nei comedy club un po’ sfigati che negli anni ’80 caratterizzavano ogni città d’America: le cose vanno bene, poi male, Louis pensa spesso a mollare tutto e limitarsi a fare il meccanico.
Fortunatamente, negli anni ’90 le cose cambiano: un provino fatto per il SNL (che lo respinge), lo porta al Late Night with Conan O’Brien, per cui comincia a scrivere i testi. Da lì passa al Late Show with David Letterman, il Dana Carvey Show, il Chris Rock Show. Da comico fa il giro di tutti questi programmi, aggiungendoci comparsate da Jimmy Kimmel, Jay Leno e George Lopez: firma alcune serie tv, convince l’HBO a mandare in onda i suoi speciali, comincia a comparire anche in alcuni film (American Hustle e Blue Jasmine, per citarne due).
Da perfetto sconosciuto diventa autore di successo, attore molto richiesto e comico convincente: la sua fama lo fa tornare a quel SNL che lo aveva rifiutato e i suoi argomenti “offensivi” lo trascinano più di una volta nei talk show.
Quando “The Talk” parla – male – di te, vuol dire che un po’ ce l’hai fatta.
Il suo stile è subito riconoscibile: rilassato, come una chiacchierata fra amici. Nessuna battuta tirata per i capelli, ma un dialogo col pubblico.
Louis CK segue, in fondo, i consigli del mentore Jerry Seinfeld: se il pubblico ride, tu rimani dove sei. Non vai avanti. Non cambi argomento.
Enfatizzi, esageri, rimani piantato in quel momento di energia e lo usi: fai ridere il pubblico delle cose più scorrette e, insieme, critichi anche la società.
Sembra facile, anche se non lo è, perché ogni mossa viene studiata, ogni battutina o frecciata, ogni rumore al microfono, ogni gesto rivolto al pubblico: la forza di Louis CK sta nel far credere ai suoi spettatori che sia tutto improvvisato.
Improvvisato e temporaneo, perché: “Qui ci sono abbastanza persone per poter dire che entro due mesi almeno uno di voi morirà”.
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