Please, pay attention, I’m very funny


Zach Galifianakis
nasce nella Carolina del Nord nel 1969 e inizia a studiare comunicazione e cinema alla North Carolina State University: debutta ancora molto giovane con un ruolo televisivo nella serie Boston Common (1996) e, da quel momento, comincia a ottenere parti sempre più importanti.

Si distingue subito come attore comico ed entra a far parte del team di scrittori per il SNL: l’esperienza dura, però, solo due settimane.
Dal 2001 passa, allora, a Comedy Central, partecipando a diversi progetti: Comedy Central Presents (dove porta una routine fatta di pianoforti e gruppi a cappella), Dog Bites Man e The Sarah Silverman Program.
L’anno successivo produce l’interessantissimo – e assurdo – talk show “Late Word with Zach”, che include la partecipazione di tantissimi nomi della scena comica di Los Angeles: un progetto interessante, che continua negli anni e rivela il gusto di Galifianakis per tutto ciò che è “awkward” e imbarazzante.

Insieme a Patton Oswalt, Brian Posehn e Maria Bamford, dà vita al Comedians of Comedy, un tour comico corale che tanto assomiglia agli spettacoli portati in giro per gli Stati Uniti da, per citarne uno, Bernie Mac.

L’impegno da stand up comedian, iniziato già negli anni ’90, si affianca progressivamente alla televisione e, poi, al cinema: la sua carriera comprende Tru Calling, Into the Wild, Notte Brava a Las Vegas e poi il suo ruolo “di rottura”, quell’Alan di Una Notte da Leoni che gli apre definitivamente le porte di Hollywood.
Zach Galifianakis resta, per lo più, legato alla commedia (Parto col Folle è un ottimo esempio), ma non mancano ruoli più amari e riflessivi (in Birdman, per esempio) che rivelano un talento forse inaspettato.

Oggi Galifianakis è sicuramente conosciuto più come attore cinematografico che come stand up comedian, ma il suo interesse per la comicità non è mai diminuito.

Zach Galifianakis: lo stile

Lo stile tenuto da Galifianakis nei suoi pezzi e nei suoi spettacoli non ha ricevuto, negli anni, solo riscontri positivi.

Generalmente, infatti, i suoi bit comprendono molta autoironia (anche pesante), pause lunghissime per creare disagio, uso dello spazio (anche sdraiandosi per terra e continuando a parlare con gli spettatori, per esempio), battute fulminanti (è ritenuto un buon “one liner”), dilatazione dei tempi (la ripetizione di alcuni elementi serve ad aumentare la sensazione di disagio) e frequenti interazioni con il pubblico, spesso coinvolto nel pezzo.
Gli speciali, poi, prevedono una alternanza interessante fra live e sketch pre registrati, dove Galifianakis interpreta personaggi dalle storie assurde.

Chi ha criticato il suo lavoro ha, spesso, parlato di una comicità troppo “easy”, ovvia, semplice, così piatta da non far ridere: altri si sono lamentati della quantità di insulti agli spettatori o allo stile troppo demenziale.

In realtà, pur con qualche limite, lo stile di Zach Galifianakis resta interessante, perché ricerca l’assurdo, lo scomodo, senza necessariamente far riferimento a società o politica. È una comicità basata sul comico, che coinvolge – con ottimi risultati – il pubblico.